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RELAZIONE PRESIDENTE U.N.C.C. ALLA MANIFESTAZIONE TENUTASI A ROMA IL 10 MARZO 2010 IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DI ASTENSIONE DALLE UDIENZE
L’odierna pubblica manifestazione e la giornata di astensione dalle udienze, proclamate dall’Unione Nazionale delle Camere Civili, unitamente a tutte le componenti associative dell’Avvocatura, con l’adesione delle Istituzioni forensi, sono correlate alla mancata tempestiva approvazione – contrariamente alle promesse della politica – della legge di riforma dell’ordinamento professionale, già passata al vaglio della Commissione Giustizia del Senato, nonchè ad alcune dichiarazioni rese nei giorni scorsi dal Presidente del Senato, di voler modificare il disegno di legge nella parte concernente l’accesso ed il tirocinio.

Cosa chiede in sostanza l’Avvocatura:

1) che sia approvata la nuova legge professionale, in sostituzione  del R.D.L. del 1933, ancor oggi in vigore,  per adeguare la professione forense alle  necessariamente mutate esigenze sociali, nazionali ed internazionali;

2) che sia posto fine ad un accesso incontrollato, che ha portato in questi anni ad un aumento esponenziale del numero degli avvocati, che oggi sono oltre 230.000;

3) che il nuovo avvocato sia ancor più qualificato, sia dal punto di vista tecnico – giuridico che deontologico, nell’interesse primario del cittadino-cliente;

4) che siano introdotte le specializzazioni, al fine di fornire una migliore e più articolata risposta alle richieste di giustizia, a fronte di un panorama sempre più complesso della realtà giuridica.

Per non essere (per usare una parola di moda) “autoreferenziali”, è necessario domandarsi, in tutta onestà, se queste richieste corrispondano ad esigenze della sola Avvocatura o non piuttosto ad esigenze della nostra società e della giustizia.

Le risposte non possiamo darcele noi perché, anche inconsciamente, potrebbero essere risposte di “parte” e, quindi, in qualche modo, sospette di essere portatrici di interessi della categoria.

Ed allora vediamo cosa dicono in proposito i terzi, osservatori imparziali.

Poco più di un mese fa, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il Presidente della Corte di Cassazione, dott. Vincenzo Carbone, ha testualmente dichiarato: “In Italia oggi, i professionisti legali sono in numero enormemente superiore ai bisogni sociali”. Ed ha aggiunto: “Occorre allora valutare, anche avvalendosi dell’esperienza degli altri paesi, fino a quando tale abbondanza di operatori sia davvero funzionale a dar voce alle giuste pretese dei cittadini, e quando invece l’assenza di un numero chiuso – come accade per notai e giudici - non comporti, invece, un surplus di domanda di giustizia, rispondendo non più solo, e non più tanto alle suddette pretese.”

Su “Il Sole 24 ore” di ieri è stato pubblicato un articolo in cui si fa riferimento allo studio sullo stato della giustizia civile in Italia, redatto da Banca Italia, sulla base dei dati pubblicati dal Ministero della Giustizia, ove si afferma che il tasso di litigiosità aumenta nelle zone del nostro paese in cui è più basso il livello di sviluppo economico, unito alla presenza di un maggior numero di avvocati e così, ad esempio, i quozienti di litigiosità per previdenza ed assistenza nei distretti più “caldi” di Bari e di Messina, sono, rispettivamente, 113 e 79 volte più elevati, rispetto alla circoscrizione più tranquilla, che è quella di Trento.

Si è detto e si ripete poi stancamente che il presente momento storico è caratterizzato dall’importanza dei “saperi” e delle “competenze” e si parla di necessaria “competitività” internazionale con gli altri sistemi giuridici. Ma esistono le premesse minime per tale “competitività” se il Presidente della Corte di Cassazione, nel già citato intervento, ha ricordato che dal rapporto “Doing Business” della Banca Mondiale, risulta che l’Italia, per quanto riguarda i tempi della giustizia, è al 156° posto (dopo Angola, Gabon e Guinea) e, per quanto concerne l’Avvocatura, ha richiamato Piero Calamandrei, il quale, già nel primo dopoguerra, affermava che: “ Questa elefantiasi patologica degli ordini forensi porta con sé, come naturale conseguenza, la disoccupazione e il disagio economico della gran maggioranza di professionisti, e quindi il progressivo abbassamento intellettuale e morale della professione, del quale la pubblica opinione, pur senza intenderne le cause, si rende conto con severità di giudizio”?

Sulla base, quindi, di questi dati oggettivi ed inoppugnabili, l’Avvocatura, concordemente, chiede che venga approvata, al più presto, la nuova legge professionale, che assicuri una rigorosa selezione nell’accesso degli avvocati ed una loro maggiore qualificazione professionale e deontologica. E ciò non solo nell’interesse dell’Avvocatura, ma nell’interesse primario della giustizia, dei cittadini e dell’intero Paese.
Roma, 10 marzo 2010

AVV. RENZO MENONI
Presidente Unione Nazionale Camere Civili