LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE E LE DELEGHE LEGISLATIVE:
INACCETTABILITA’ DELLA SOMMARIZZAZIONE DEL PROCESSO
(Testo dell’intervento svolto il 21 novembre 2009 alla VI° Conferenza Nazionale dell’Avvocatura a Roma)
Lo Stato (non solo quello moderno, ma fin dall’antichità) è nato con due compiti essenziali: quello della difesa dai nemici esterni e quello del mantenimento dell’ordine interno, evitando che i cittadini ricorrano alle armi per far valere i loro diritti (ne cives ad arma ruant), mediante l’amministrazione della Giustizia.
Tutti gli altri compiti dello Stato sono meramente aggiuntivi e sussidiari, compresi quelli oggi reputati particolarmente rilevanti (istruzione, sanità, etc.) potendo, se del caso, questi ultimi, essere esercitati anche da privati.
In altri termini ci può essere anche uno Stato efficiente che non ha una sanità od un’istruzione pubblica, ma non può esistere uno Stato in cui non funzioni la giustizia.
La crisi della giustizia è, quindi, la crisi dello Stato.
Essendo pacifica la crisi della giustizia, è apprezzabile l’intenzione del legislatore di mettere riparo a tale ormai insostenibile situazione, che ci vede continuamente condannati in sede comunitaria e che porta ad una profonda sfiducia del cittadino nei confronti dello Stato.
Pure non si può non rilevare che i numerosi (troppo numerosi) interventi che nel campo della giustizia civile si sono succeduti in questi ultimi anni, hanno avuto il carattere dell’asistematicità e dell’improvvisazione, producendo solo un ulteriore aggravamento dei tempi e dell’arretrato (è sufficiente ricordare che il rito societario, trionfalmente introdotto da questa stessa maggioranza di governo nel 2005, e che, secondo le dichiarazioni dell’epoca, avrebbe dovuto divenire il modello del futuro rito civile, è stato ora, saggiamente, abolito per manifesta inefficienza).
Anche l’ultimo intervento legislativo 18/6/2009 n.69 non si sottrae a tali censure di metodo e di sostanza.
Certo l’UNCC, che da anni ha posto come suo “cavallo di battaglia” la semplificazione dei riti, nella prospettiva della loro unificazione, non può non vedere con favore che il legislatore abbia, finalmente, recepito questo fondamentale principio.
Malgrado ciò la recente novella legislativa (che pure contiene anche qualche modifica condivisibile) suscita notevoli perplessità.
Data l’estrema ristrettezza dei tempi concessi per gli interventi, ci soffermeremo, in questa sede, su un solo istituto: l’introduzione del nuovo rito sommario, di cui agli artt. 702 bis e seguenti c.p.c.
A prescindere dal fatto che, ancora una volta, dopo aver enunciato, il (come si ripete condivisibile) principio della semplificazione dei riti, si introduce poi, contraddittoriamente, un nuovo procedimento, va comunque detto che tale rito sommario non può essere condiviso, soprattutto nella prospettiva che, in sede attuazione di delega legislativa, venga proposto (art. 54), di fatto, come possibile sostituto del “rito ordinario”.
Tale rito deve essere contrastato con forza dall’Avvocatura perché, come è stato autorevolmente rilevato, “non potrebbe non significare una perdita secca in punto di garanzie” (A. Proto Pisani, Contro l’inutile sommarizzazione del processo civile. In Foro Italiano, 2007, V, col. 45).
L’assoluta inaccettabilità dei tempi processuali non può trovare soluzione in un processo completamente deformalizzato e, quindi, necessariamente “autoritario” (in quanto rimesso alla mera discrezionalità che, in alcuni casi, potrebbe sconfinare nell’arbitrio del giudice, nella conduzione e nella stessa determinazione delle modalità di svolgimento del giudizio), ma deve rispettare le garanzie processuali delle parti che, sole, possono permettere di ottenere giustizia.
In altri termini il “giusto processo” di cui agli artt. 111 Cost. e 6 C.E.D.U., può sussistere solo ove a tempi accettabili si accompagni un’accettabile qualità del medesimo processo.
Ma vi è di più, come ha rilevato Andrea Proto Pisani, l’introduzione di un istituto, quale quello in esame, non avrebbe neanche l’effetto di realizzare un processo meno garantista ma, almeno, di durata ragionevole.
Se, infatti, dovesse diventare di fatto il modello “ordinario”, l’assoluta maggioranza della cause di primo grado sarebbero introdotte nelle forme sommarie, “con il chè sarebbe inevitabile che, nel giro di pochi mesi o di pochi anni, anche i nuovi processi sommari comincerebbero a subire rinvii a causa del sovraccarico dei giudici, così come oggi accade per i cosiddetti processi ordinari” (loc. cit.).
E’ significativo, in proposito, che il legislatore (a differenza di quanto si prevedeva nel processo sommario – societario) non abbia fissato al giudice assegnatario alcun termine massimo per l’udienza di comparizione delle parti, sicchè tale udienza potrebbe venir fissata anche dopo molti mesi . . . o anni!
L’illusione del legislatore di risolvere il problema della lentezza dei giudizi mediante mere modifiche di carattere tecnico – procedurale è inevitabilmente fallita in tutti questi anni.
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Altre sono le cause ed altri devono essere i rimedi.
Fra i possibili rimedi vi è quello di affrontare, finalmente, il “nodo” della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, razionalizzando il sistema con la soppressione non dei c.d. Tribunali minori, ma dei Tribunali inutili.
Solo nel distretto della Corte d’Appello di Torino, ci sono ben 17 Tribunali con 9 Sezioni distaccate. E quindi, la bellezza di 26 sedi giudiziarie!
Ancor più macroscopica è la situazione della Sicilia, ove a 18 Tribunali, si aggiungono 28 sedi distaccate, per un totale, quindi di 46 sedi giudiziarie!
Il secondo punto è quello della “bulimia legislativa”, che tanto contribuisce alla incertezza del diritto e, conseguentemente, all’inevitabile aumento del contenzioso.
Un terzo punto essenziale (e strettamente connesso) è quello della necessità di approvazione di una legge che preveda una seria ed effettiva responsabilità per i magistrati, sia dal punto di vista civilistico che disciplinare.
Per rimanere strettamente al tema, infatti, non è possibile continuare a comprimere i termini e le garanzie delle parti, lasciando poi alla totale discrezionalità del giudice la fissazione dei tempi del processo.
Un quarto ed ulteriore punto è quello della regolamentazione dell’accesso alla professione forense, per evitare il perpetuarsi del lievitare dell’abnorme numero degli avvocati e consentirne una maggiore selezione e qualificazione. E’ infatti inevitabile che l’eccessivo numero degli avvocati crei anche un aumento del contenzioso.
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In quest’ottica non si può non vedere, con notevole perplessità, il recente decreto legislativo in materia di mediazione.
La mediazione obbligatoria è una contraddizione in termini.
Appare in contrasto con l’art. 24, comma I della Costituzione, in forza del quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”.
Il legislatore deve essere in grado di garantire al cittadino la tutela dei propri diritti avanti ad un giudice terzo ed imparziale, come previsto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 C.E.D.U., senza ricorrere a biasimevoli espedienti “deflazionistici”, che rischiano non solo di tramutarsi in denegata giustizia, ma di allungare, di fatto, i tempi del processo e di aggravarne i costi.
Parma – Roma, 21 novembre 2009
Renzo Menoni