TRIBUNALE DI VARESE
O r d i n a n z a
L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di
avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro
8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma
pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi
di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in
via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di
corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.
1. Verifichi preliminari
L’odierna controversia rientra tra quelle indicate
nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è
sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.
Preliminare alla decisione in ordine alle richieste
istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di
cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero
nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è
divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei
procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione
topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione
legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito
come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il
secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un
appello.
Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti
gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra
l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.
A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di
quanti in Dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa
iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in
particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito
semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a
ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento
ermeneutico:
a) in primo luogo, è prevista espressamente la
“comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario,
atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra
binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti
ontologicamente differenziati;
b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta
nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la
concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione
ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei
procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri
di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver
richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento
“sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori
delle tutele sommarie;
c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento
sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c.
(art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente
scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a
cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella
stessa identica misura di quest’ultimo.
Ne segue – come si è abilmente sostenuto in dottrina -
che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c.
“è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua
destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha
ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono
proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal
profilo legislativo di questo istituto”.
2. Istruzione sommaria
Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese
svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che,
per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme
del processo sommario di cognizione.
Si badi: se il giudice deve decidere sulle
sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma
III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi
per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la
natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle
parti di individuare il thema probandum già negli scritti
introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e,
dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es.,
articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo
momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è
l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le
prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle
determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione –
solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette,
diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il
sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato
nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza
con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare
richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla
decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter,
comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle
richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti.
Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi
di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti
difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a
provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice
per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento
ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova
ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante
l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma
senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.
Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità
nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai
suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009
n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:
a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti
costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);
b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei
confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal
convenuto e dai terzi;
c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo
del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di
diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole
eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già
formulate o comunque prospettate quale thema probandum.
Il parametro valutativo da assumere quale primario
riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del
sommario è, dunque, sicuramente l”oggetto” della causa ed il
complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio,
passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e
le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri
soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami
espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della
eventuale conversione.
All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice,
tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve
prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la
decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme
semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi
portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II)
snellezza delle forme.
Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole
dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale
manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la
manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad
esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione
di diritto sia idonea a risolvere la lite.
Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte,
l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in
concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in
astratto) del fascicolo del procedimento.
Orbene, applicando le regole di diritto sin qui
illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma
anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo
osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli
oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come
interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è
circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e
dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va,
poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità
soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del
procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di
terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).
Per tali motivi, non va disposta la conversione ex
art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in
ordine agli atti di istruzione cui provvedere.
3. Atti di istruzione
L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il
proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico
effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova
documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la
corrispondenza in itinere intervenuta trai contraenti ed
avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del
pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad
eseguire la sua prestazione.
La convenuta non si è costituita
Orbene, in tema di prova dell'inadempimento di una
obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve
soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il
relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della
circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore
convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo
dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ.,
Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565;
Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina
dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito
dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile
(art. 1218) introduce una presunzione – definita dalla dottrina -
"semplificante", in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c.,
accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la
prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo
siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi,
modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto
adempimento).
Alla luce delle considerazioni che precedono, va
rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che,
fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui
inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art.
1218 c.c.
4. Calendario del processo
La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle
disposizione di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in
virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste
istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e
della complessità della causa, fissa il calendario del processo con
l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno
espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non
sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della
calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di
“programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con
indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire
nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di
definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa
non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è
detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più:
l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura
ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un
elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento
semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”).
Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il
quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione
atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.
Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il
giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo,
atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i
procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti
caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della
causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la
riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).
Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di
specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla
odierna pronuncia.
La causa va rinviata per la discussione finale,
abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto
difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.
P.q.m.
letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.
rinvia
la causa per la discussione all’udienza del 18
dicembre 2009 ore 10.30
Ordinanza letta in udienza
Varese, lì 18 novembre 2009
Il Giudice
dott. Giuseppe Buffone